Quando a morire d’emigrazione, in mare aperto, eravamo noi. Il 25 febbraio 1891, esattamente 125 anni fa, 562 italiani partivano per andare a morire nel naufragio della nave Utopia, che sarebbe avvenuto poche settimane dopo a Gibilterra. I passeggeri totali erano 880, tra uomini, donne e bambine. Non mancavano clandestini a bordo. Il capitano, John McKeague, sbagliò la manovra d’avvicinamento al porto scontrandosi con una nave militare inglese, la Anson. Sopravvisse al disastro, ma non abbandonò il suo bastimento: anzi, si recò subito sul ponte per gestire la calata delle scialuppe di salvataggio.

Naufragio_Heleanna

Fu il più grande incidente sulla terra liquida dell’epoca, ma resta semisconosciuto ancora oggi, soprattutto rispetto al disastro del Titanic, sui cui tanto si è invece romanzato e “cinematografato”. La Nave Utopia, potente ed evocativa fin dal nome, perfetto per quel tempo di sogni di socialismo e di progresso, affondò in venti minuti e con questa le speranze in un mondo migliore. Il Novecento non nasceva sotto un radioso auspicio.

“Utopia” mosse da Trieste e doveva raggiungere l’America, ma dopo due soste intermedie a Palermo e Napoli, si inabissò davanti alla baia di Gibilterra. A perdere la vita furono per lo più viaggiatori di terza classe: contadini, italiani che nell’emigrazione vagheggiavano una possibilità di riscatto. Anche se la vicenda non ha avuto la stessa risonanza del Titanic, alcuni storici e ricercatori sono riusciti a conferire la dignità di un nome e di un cognome ai dispersi di questa sciagura“minore”, per consegnarli alla redenzione della storia.

E per ricordare il naufragio della nave Utopia va in scena, da stasera a domenica allo spazio Matta di Pescara, uno spettacolo molto atteso, la nuova produzione originale di Edoardo Oliva e del suo Teatro Immediato. Titolo, “Caprò”. “Cresciuto nell’amore ostile dei suoi genitori e nell’attaccamento viscerale alla sua terra, in assenza di sogni e desideri, Caprò vive, in età adulta e senza comprenderli appieno, quelli riflessi del fratello, anima inquieta e sensibile. La sua vita, sempre ai margini della consapevolezza, si muove per inerzia sul terreno spianato dal gretto modello paterno, scandita dal moto regolare delle stagioni. E quando accade qualcosa che inceppa il suo asettico e protettivo pendolo interiore, una fuga illusoria lo soccorre dallo smarrimento e dall’incapacità di sopravvivere all’imponderabile” spiega Edoardo Oliva.

Sul palco lo smarrimento di un uomo, un anonimo bracciante di fine ottocento che si agita su un fazzoletto di terra con i pochi oggetti che scandiscono la sua vita. Un attore non protagonista della grande Storia: per lui né necrologi né trafiletti sui giornali, quando affogò desiderando una vita accettabile. Non un eroe, ma un antieroe tragico di massa, Caprò.