Caprò – F. Di Vincenzo

 

RIBALTA TEATRO

TEATRO IMMEDIATO
CAPRO’
EROE TRAGICO

Un bel testo di Vincenzo Mambella ben interpretato e messo in scena da Edoardo Oliva

di Francesco Di Vincenzo

[…]La messinscena del Teatro Immediato, con la regia e l’interpretazione di Edoardo Oliva, s’è rivelato un esempio di ottimo teatro. Di teatro puro, direi, al netto cioè di ogni emotivo richiamo ad eventi storici di drammatica attualità.
Grande merito va al testo di Vincenzo Mambella, la cui evidente affinità con il teatro di narrazione di Baiani, Paolini, Celestini, etc., non ne inficia la forte, originale identità drammaturgica. Qualità che gli deriva innanzitutto da una fabula che già a raccontarla in poche righe esprime tutta la sua potenza drammatica: Capro’ un contadino ancor giovane, infaticabile lavoratore e di cocciute convinzioni “antimoderniste”, non vede altro orizzonte che il suo pezzo di terra e la sua dura fatica quotidiana; Capro’ ha un fratello minore delicato e sognatore che egli chiama sarcasticamente il Signorino, pur nutrendo per lui uno scontroso, reticente affetto[…] Una storia dal sapore classico, innervata da una ininterrotta, crescente tensione tragica. Una tragedia che già s’annida nella dissimulata finezza del titolo: Capro’, animalesco soprannome del protagonista, è troncatura dialettale di caprone, dunque capro; e “canto del capro (o per il capro)” è il significato etimologico del greco antico trago(i)día, cioè tragedia.
Capro’ ha statura di personaggio mitico nella sua cocciuta e compiaciuta cecità di fronte alla complessità e ai mutamenti del reale. Per lui esiste solo l’immutabile orizzonte della terra e della dura fatica necessaria per trarne da vivere. Egli irride il sogno del Signorino di emigrare in America con un argomento apparentemente non insensato (“A fare che? A zappare la terra di un altro? Almeno qui la terra è mia”) ma, nell’economia del personaggio, quel ragionamento esprime solo la sua paura/rifiuto del cambiamento. […]La dimensione tragica di Capro’ è svelata gradualmente, mimetizzata fino alle catastrofi finali nel ritmo della scrittura e nel linguaggio usato: più che dialetto, lingua dialettizzata, spoglia e ruvida quanto basta per renderla credibile in un contadino abruzzese del tardo ‘800 ma provista della
duttilità necessaria per conferire vivezza al monologo ed evitarne il paludamento. Pur prevedendo in scena il solo Capro’, Mambella ne articola la voce in una pluralità di voci citate dal medesimo, in un continuo dialogo con gli altri personaggi (il Signorino, il Padre, la Madre, il Maestro, la Moglie del Maestro) evocati dalla misurata plasticità vocale di Edoardo Oliva che in Capro’ fornisce una splendida prova d’attore e cura una regia sobria e funzionale.
Bella idea la scarna scenografia antinaturalistica di Francesco Vitelli: praticamente un solo oggetto in scena, una grossa incudine (strumento non propriamente contadino) che sta lì, sul fondo, a ricordare la più dura fatica manuale oppure, quando martellata da Capro’, a farsi strumento di risonanti, barbariche monodie premusicali.”

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