Reietti

 

Al Teatro Immediato di Pescara il 12, 17, 18, e 19 febbraio è andato in scena in scena REietti, spettacolo liberamente tratto da opere di Samuel Beckett e Michel De Ghelderode, per la regia di Edoardo Oliva e Vincenzo Mambella.

Cercando sul dizionario il termine “reietto”, ci si trova immediatamente di fronte a una definizione pertinente: dal latino reiectu(m), ossia respingere – chi è stato respinto, ripudiato. E in scena riconosciamo nei personaggi esattamente i “REietti” della società, rappresentati egregiamente, come se indossassero i loro panni abituali, da Edoardo Oliva e Vincenzo Mambella.

Lo spettacolo, suddiviso in tre parti, trae spunto da testi di due autori apparentemente diversi tra loro: Beckett, conosciuto ai più per la sua poetica teatrale attraverso altre opere maggiori, e De Ghelderode, autore di fama minore ma di grande spessore teorico.

I due testi tratti dall’autore irlandese, Frammenti di teatro I e II, e quello del drammaturgo belga, Escurial, hanno similitudini crescenti che portano lo spettatore a confondersi sulla paternità delle opere. I primi a comparire in scena sono due uomini, emarginati a causa dei loro handicap, che fantasticano sui vantaggi che potrebbero trarre dall’unione delle loro mancanze: un gioco tra vuoti e pieni, affrontato in modo ironico e grottesco. Attraverso i dialoghi, recitati in dialetto locale, e il gergo, ricercato in chiave stridente, emergono goffamente e pateticamente i disagi universali dell’uomo, le disperazioni tipiche di persone comuni che sognano, per alcuni istanti, di colmare le proprie solitudini con l’unione delle singole disgrazie.

Siamo di fronte a un testo di Beckett, ne siamo certi, ma quando in scena compare la seconda coppia, i dubbi cominciano a emergere. Quello dell’assurdo è un tema tipico del teatro del genio irlandese, e invece, di fronte a un Re e al suo buffone, ci si sorprende venendo a scoprire che il testo originale è di De Ghelderode. Un Re e il suo reietto (un buffone) – per i quali si può subito pensare a uno scambio di ruoli – esorcizzano la presenza della morte nel castello, in modo crudele e allo stesso tempo esilarante.

Chiudono la pièce due impiegati che, l’uno di fronte all’altro, dibattono sulla legittimità del suicidio di un terzo personaggio, ridendo sulle loro misere esistenze. L’immobilità e il silenzio – protagonisti della scena – emanano una situazione tragica ma, trascorso poco tempo, gli schiamazzi sulle miserie dei due accentuano quel senso di solitudine incombente che la morte consapevole porta con sé.
Quello che emerge è la contemporaneità dei temi trattati da autori del secolo passato: non è cambiato molto nella società attuale, nella quale Re e Reietti, si alternano, confondono e scambiano vicendevolmente di ruolo, dimostrando come la minaccia, la solitudine, l’illusione e la vacuità nella vita, oggi come ieri, la fanno da padrona, nonostante il goffo tentativo di ignorarle, tentando di riempire ogni vuoto che la psiche umana sperimenta. L’effetto complessivo che se ne ricava, come spettatori, è burlescamente universale, grazie al gioco sul dualismo reale-astratto.
Un lavoro riuscito, un’altra scommessa vinta per un Teatro Indipendente, che coinvolge e convince non una marginalità, ma la totalità della platea.

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